Approfondimenti

Pubblicato il 13 Aprile 2015 | di Gian Piero Saladino

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LA EVANGELII GAUDIUM SECONDO DON PINO RUGGIERI

PREMESSA

La Gioia del Vangelo – traduzione italiana del titolo “Evangelii Gaudium” – è un documento di grande importanza, sebbene per certi versi “discontinuo”, pubblicato il 24 novembre 2013, che aiuta a  comprendere la visione e lo stile del papato Bergoglio, e nel quale si riflette la novità della prassi di questo Papa, novità che consiste nel fatto che il Vangelo è tornato al centro della Chiesa. Potremmo anche dire che, con i dovuti aggiornamenti, è tornato il clima pastorale della Chiesa di Papa Giovanni XXIII.

La Gioia del Vangelo non è un’enciclica, è quindi un documento meno solenne, e fa il paio con il discorso tenuto da Papa Giovanni XXIII all’inizio del Concilio, denominato Gaudet Mater Ecclesia del 1962, parimenti rilevante come passaggio storico per la Chiesa cattolica e per il mondo contemporaneo.

Contiene le motivazioni dottrinali che portano questo Papa ad agire così come agisce, e che si esprimono al meglio nelle sue omelie quotidiane. Egli parla spesso a braccio, ma la versione che poi esce sull’Osservatore Romano è “aggiustata” rispetto ai testi contenuti nelle teche di registrazione originale.

È quindi utile leggere e commentare alcuni punti dei primi due capitoli delle 110 pagine complessive di cui il documento consiste.

La premessa al documento dice, anzitutto, che cos’è la gioia del Vangelo e fa riferimento a un principio fondamentale, ad una affermazione apodittica ma non autoritaria, perché traduce con semplicità un’esperienza reale – la gioia del Vangelo che scaturisce da un incontro – e che ha quindi tutta l’autorità di un’esperienza vissuta, a partire dalla quale Papa Francesco invita a trasmettere la gioia del Vangelo e prefigura la sua azione e il suo stile pastorale.

La fede è quindi autoevidente, chiunque crede sa che la fede è vera per i frutti che produce, non è dimostrata ma prova tutto il resto. Da questo principio scaturiscono alcune conseguenze: quella anzitutto di rinnovare l’incontro con Cristo, nel quale si genera primariamente la gioia, grazie alla quale siamo liberati dall’autoreferenzialità, dal pensare sempre a noi stessi. L’idea centrale della “Chiesa in uscita” non è altro che questo. La contestazione degli “spazi di autonomia” degli operatori pastorali è conseguenza di questo. Se uno è contento, tende a comunicarlo agli altri, ad uscire, a non riservare nulla per se stesso. Evangelizzazione diventa la comunicazione agli altri di questa gioia. È una premessa densissima quella che introduce il documento papale, che inizia con una definizione degli “ambiti dell’evangelizzazione”, che sono la pastorale ordinaria dei credenti, i battezzati che non vivono più secondo le esigenze del battesimo, e i non battezzati che non conoscono Gesù.

COMMENTO AL CAPITOLO PRIMO

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don Pino Ruggieri

La Chiesa si deve trasformare: è questo l’argomento del primo capitolo. La Chiesa, per il Papa, è la Chiesa in uscita, che esce sempre di casa. Dietro questa immagine di Chiesa c’è sicuramente anche la spiritualità gesuitica, che non è una spiritualità conventuale, ma una spiritualità “mondana”, dell’essere cristiani in questo mondo moderno. Inoltre, c’è anche un tocco originale che si rifà all’episcopato argentino, durante il quale Bergoglio viveva in un piccolo appartamento e, appena poteva, andava a trovare le parrocchie, specie quelle di periferia. La Chiesa in uscita – il Papa vuole giustificare questa sua visione – viene ancorata al dinamismo in uscita presente nelle chiese profetiche, e chiede di aprirsi alle novità della storia. Scenari e sfide nuove si aprono per la missione evangelizzatrice della Chiesa, in cui tutti siamo chiamati ad una uscita missionaria, ad uscire dalla sicurezza della propria comunità e raggiungere tutte le periferie.

Vi è quindi una visione esasperata di un dinamismo in avanti, che invita a partire dalle novità e dice chiaramente “rinnoviamoci noi Chiesa”. Il lemma del “rinnovamento” è presente nel documento circa 30 volte, mentre quello della riforma è presente solo 16 volte. Che significa questo? Sempre la chiesa ha cercato di riformarsi, ma riforma ha coinciso spesso un “ritorno indietro”, alla chiesa primitiva o alla chiesa medioevale.
Papa Giovanni aveva introdotto il lemma “aggiornamento”, non più rivolto al passato ma ai segni dei tempi, da cogliere e da interpretare profeticamente e pastoralmente. La Chiesa si rinnova se capisce ciò che accade oggi e si evolve di conseguenza, dando una risposta adeguata alle nuove situazioni.

Lo stesso è per questo Papa. Il problema non è quello di un ritorno al passato, ma quello di una fedeltà alla vocazione, alla chiamata, per costruire futuro: la Chiesa si porta dentro la Gioia del Vangelo e questa gioia deve incontrare ciò che accade adesso, non si porta dietro le spalle un passato. Si tratta di una Gioia del Vangelo che ha dentro di sé la dinamica del dono, quindi una gioia missionaria. Camminare, andare sempre oltre, diventa la missione, poiché la Parola ha una potenzialità che non possiamo prevedere e la Chiesa deve accettare questa libertà ineffabile della Parola, senza certi apparati dottrinari che rischierebbero soltanto di appesantirla.
La Chiesa in uscita è la comunità dei discepoli missionari che prendono l’iniziativa, si coinvolgono e festeggiano. Papa Francesco usa  un termine argentino  che vuol dire arrivare prima, non aspettare, per giungere alle persone. Cita la lettera di Giovanni: “noi amiamo, perché Egli ci ha amato per primi”. Così deve fare la Chiesa. Osiamo di più prendere l’iniziativa, toccando la carne di Cristo che è l’umanità che soffre. La comunità accompagna l’umanità in tutti i suoi processi.

Da questi principi della Chiesa in uscita seguono le proposte di riforma: il Papa cita prima il Vaticano II: “ogni rinnovamento della Chiesa rappresenta una accresciuta fedeltà alla sua vocazione. Se ci sono strutture ecclesiali che possono condizionare negativamente il dinamismo della Chiesa, bisogna cambiarle. Il Papa parla di un sogno, e in questo si esprime in modo molto personale; egli sogna una chiesa che compie una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, e poi enumera gli ambiti e la direzione di questa trasformazione:
1) la parrocchia, dove prevale una sacramentalizzazione senza evangelizzazione
2) le diocesi
3) il papato e le conferenze episcopali.

Riguardo a quest’ultimo punto, sussiste ancora un divario fra ciò che il Papa ha detto e scritto e ciò che invece è stato finora fatto. La novità del discorso di Francesco è la citazione, nella sua esortazione, dei documenti delle conferenze episcopali dando ad esse autorità di tipo dottrinale. Egli sta cercando, sinceramente, di riformare la Curia, ma è improbabile che ci riesca.

Dal 1077 (morte di Gregorio VII) in poi, e per tutto il secondo millennio la Chiesa, che prima era di tipo collegiale (il Papa era infatti soltanto l’ultima istanza dopo le decisioni delle conferenze episcopali, come avviene ancora in oriente, dove i vescovi sono nominati dagli altri vescovi del territorio stesso) man mano si centralizzò, anche per avere maggiore autonomia dalle autorità civili (lotta delle investiture) ma nel contempo divenne una grande centrale di soldi, processo che è andato crescendo fino al Concilio Vaticano II, che ha ribadito l’antica idea di Chiesa come comunione di chiese.

Nel primo millennio non era stato il Papa a convocare i Concili, limitandosi il suo potere a riceverne gli esiti, che avevano ugualmente valore universale. Tutt’al più il Papa, ove non fosse d’accordo, poteva chiedere un secondo giudizio, ma non poteva sostituirsi alle chiese locali. Ciò significa che, se si vuole davvero ripristinare il principio di collegialità, non si tratta di rifare la Curia, ma il Papato. Paolo VI iniziò, nel 1963, ridando ai vescovi la possibilità di esercitare autonomamente alcune facoltà che erano state loro tolte, ma finché questo Papa non ridarà ai vescovi ciò che il papato si era preso, di fatto non cambierà nulla. Il problema, si potrebbe dire, è che questo Papa è gesuita, e i gesuiti ascoltano tutti ma poi, alla fine, decidono loro. Questa non è collegialità. In verità, egli ha fatto funzionare bene il sinodo, ma in esso non si è deciso nulla. Resta il dubbio: cambierà o non cambierà? Il Papa ha detto che non durerà a lungo, e se non metterà animo a fare qualcosa in questo senso, saremo sempre alle solite storie: resterà il Papa monarca assoluto, contraddizione della vita della Chiesa.

Altra parte importante del documento è lo statuto dell’insegnamento della chiesa, e qui vengono fuori cose belle, come il valore dell’essenziale. Si tratta di insegnare partendo dal cuore del Vangelo, non dalle cose secondarie. Il problema maggiore è quando il messaggio sembra identificarsi con le cose secondarie, che non manifestano il cuore del messaggio di Cristo. Il Papa ribadisce la dottrina della gerarchia delle verità: non tutte le verità sono di uguale importanza. Le verità della Madonna, ad esempio, NON sono centrali. Il nucleo fondamentale è invece la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto.  Ogni comunità deve essere rimessa a contatto con questo centro, anche dal punto di vista morale. Ciò che conta è la fede che si rende operosa per mezzo della carità.

Altro elemento principale è la Grazia che agisce per mezzo dell’Amore. Per questo la Misericordia è la più grande delle virtù, ed in questo francesco ripete la lezione di Papa Giovanni. Viene poi richiamata la distinzione fra la sostanza della dottrina e la maniera di comunicarla. Consuetudini e precetti ecclesiastici non sono sullo stesso piano del Vangelo. Bisogna esigere con moderazione, per non appesantire la fatica dei fedeli (Agostino). La responsabilità può essere attenuata dalle circostanze, e non si può astrarre dai casi concreti. L’impegno degli evangelizzatori si muove quindi nei limiti del linguaggio e delle circostanze. La perfezione, per il Papa, non è possibile.

Cambia anche lo stile della Chiesa: una chiesa in uscita, che resta sempre con le porte aperte, come la casa della parabola del figliol prodigo. In chiesa si può sempre andare. C’è bisogno di Chiese sempre aperte. L’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e alimento per i deboli. Il capitolo II del decreto del concilio di Trento sul sacrificio della messa, che nella pastorale è rimasto sostanzialmente ignorato, dice che quando uno si accosta nella dovuta maniera all’eucaristia, il Signore, placato, rimette delitti anche enormi. Il Card. Scola, che ha scritto sul Regno che “L’Eucaristia non ha una valenza penitenziale”, sembra non abbia letto le disposizioni del Concilio di Trento.

Papa Francesco vuole invece far riscoprire alla Chiesa l’importanza della “dinamica di uscita”, la sua natura essenziale di “Chiesa in cammino”. Il fondamento è profondamente cristologico: “La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore, e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (EG 24). Una Chiesa che rinunciasse a seguire il suo Signore sarebbe una Chiesa malata: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EG 49).

COMMENTO AL CAPITOLO SECONDO
(In elaborazione)

(Versione non rivista dal Relatore)

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Autore

(1961) Direttore della Scuola "F. Stagno D'Alcontres" di Modica, sede decentrata UNIME - Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale - ideatore e coordinatore scientifico di Corsi di perfezionamento e aggiornamento post-laurea per operatori sociali (www.unimodica.it), da 37 anni è anche Responsabile della Formazione e Comunicazione di Sicindustria Ragusa. Co-fondatore della Scuola dei Beni Comuni di Ragusa, per 9 anni ha diretto l’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali. Già Portavoce del Sindaco di Ragusa e Dirigente della Comunicazione Istituzionale del Comune di Ragusa, è stato Presidente dell’AVIS provinciale di Ragusa, Consigliere Nazionale dell'A.I.F. (Associazione Italiana Formatori) e Presidente del MEIC diocesano di Ragusa. Scrive articoli e brevi saggi di argomento politico, economico, sociale e religioso.



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