Pubblicato il 9 Dicembre 2015 | di Redazione
0Università, come aprire una nuova fase
“Fare università al sud” è stato il tema del convegno organizzato dall’Università telematica Pegaso grazie all’impegno di Giorgio Massari e Francesco Raniolo.
L’incontro ha avuto il merito di riaprire il dibattito pubblico sull’università, in particolar modo riguardo alla sua permanenza nel territorio di Ragusa, ma con il rischio che, per l’insipienza della rappresentanza politica, la fatica culturale sostenuta si traduca in uno spreco di parole su un argomento che, tuttavia, è di fondamentale importanza sia per i giovani ragusani che per l’economia del territorio nel suo complesso.
Il quadro generale su cui si colloca l’università oggi è preoccupante: l’Italia è l’ultimo paese in Europa per quanto riguarda gli investimenti sull’università e diminuiscono sia gli iscritti che i laureati. Aumentano invece le tasse e l’emigrazione degli studenti del sud verso gli atenei del nord, con perdita economica delle famiglie, delegittimazione degli atenei meridionali ed emarginazione sociale conseguente.
Il quadro particolare che caratterizza invece il livello locale vede Ragusa perdere l’ennesima occasione di sviluppo, avendo puntato, da un certo periodo in poi, su un modello universitario fallimentare, quello che ha portato alla realizzazione di corsi di laurea doppione rispetto a quelli dell’Università di Catania.
È altresì emerso che condizione necessaria per continuare ad avere l’università a Ragusa è quella di riuscire a ridisegnare il suo sistema universitario puntando sull’eccellenza, come ha affermato Antonio Barone, docente di diritto amministrativo dell’università Lum di Bari, il quale ha anche argomentato i principali punti da cui ripartire.
Bisogna cioè puntare sul rapporto università-territorio, dando agli studenti opportunità per fare esperienza di stage presso le pubbliche amministrazioni, per realizzare meccanismi di scambio significativo con le imprese, per puntare sulla specializzazione post-laurea di figure professionali utili anche al contesto locale.
Obiettivo, questo, non facile da raggiunge, anche a causa dell’accordo recentemente siglato da Comune e Provincia di Ragusa con l’Università di Catania che, da un lato, agevola il pagamento dei debiti pregressi mediante una comoda dilazione dei pagamenti fino al 2027, dall’altro però non consente l’attivazione di altri corsi di laurea fino a tale data, fatta eccezione per quelli che non sono previsti dall’Università di Catania.
Qual è dunque il futuro per la formazione universitaria a Ragusa? Sicuramente si deve ripartire da una certezza: la facoltà di mediazione linguistica e culturale di Ragusa Ibla, che rappresenta un caso unico nel panorama siciliano, grazie anche all’insegnamento delle lingue orientali, quali il giapponese e l’arabo.
Da qui bisogna infatti ripartire, attivando una sinergia tra i diversi attori sociali, per creare una piattaforma comune necessaria alla crescita dell’università a Ragusa. Questo è il messaggio lanciato da Santo Burgio, docente di filosofia presso la facoltà di lingue a Ragusa.
A questo, può e deve aggiungersi l’esperienza virtuosa del corso di laurea in Scienze del servizio sociale di Modica, il cui direttore, Gian Piero Saladino, ha dichiarato che con i suoi 46 anni di attività come scuola di servizio sociale, 760 studenti portati alla laurea in questi anni, quasi 150 studenti oggi iscritti, rappresenta ancora un’istituzione virtuosa, poco costosa per il territorio, utilizzata da giovani e famiglie che vivono spesso in condizioni economiche modeste, provenienti da tutto il territorio del sud-est siciliano, e che merita quindi di non essere abbandonata dai soggetti finanziatori, sia pure trasferendone la sede a Ragusa, se il Comune di Modica continuerà a non versare la sua quota al Consorzio Universitario.
Non si possono certo pretendere rivoluzioni o grandi recuperi rispetto ai tempi allegri (e dispendiosi!) dei 7 corsi di laurea nella nostra provincia, ma la conservazione di questi due capisaldi, e la realizzazione di nuovi piccoli tasselli capaci di far crescere, non in ordine sparso, la cultura e la professionalità dei giovani senza costringerli all’emigrazione intellettuale, è una priorità per la politica, per le istituzioni e per i cittadini tutti.
Ovviamente, favorendo una progettazione comune, che edifichi un’università di eccellenza, non dei grandi numeri ma dei risultati concreti, secondo la tradizione degli Iblei.
Un’occasione è stata comunque persa, quella di tenere in debito conto l’opinione dei diretti destinatari dell’università, vale a dire gli studenti, che in questi anni sono rimasti spettatori inermi di una discussione che invece, dovrebbero capirlo al più presto, li riguarda in prima persona.