Cultura

Pubblicato il 19 Aprile 2021 | di Redazione

0

Chiesa e monastero di S. Giuseppe a Ibla: uno scrigno di arte e di spiritualità

Carlo Giavanti, Barone di Buxello e Saccubino il primo ottobre 1588 con atto del notaio Giuseppe Blundo, fonda il Monastero di Montevergine, sotto il titolo  di San Giuseppe, per sciogliere un voto a San Mauro Abate fatto dalla moglie Violante Castilletti, per impetrare la grazia della guarigione per il figlio; nello stesso atto nomina due fidecommissari, Leonardo Giampiccolo e Francesco La Rocca, ai quali affida numerosi beni immobili – case, magazzini, botteghe tutte vicine a piazza Maggiore, (oggi Piazza Pola), due fiumare, ed un aranceto – con relative rendite, in parte per la costruzione della Chiesa e del Convento, e in parte per il mantenimento delle suore. Inoltre assegna numerosi censi annuali, di cui due molto cospicui di 500 e 400 onze, provenienti da due prestiti fatti all’Università di Ragusa, con un rendimento annuo di 67 onze.

Giavanti morì  a Noto nel 1606, ma il Monastero, pur essendo completo, non aveva ancora monache. Solo nel 1611 il Vescovo di Siracusa, Giuseppe Saladino, ne inviò tre dal Monastero della SS. Annunziata di Buccheri. A queste prime tre se ne aggiunsero altre e per soddisfare le numerose richieste di ammissione come educande, la badessa nel 1618 ottenne di tenere “per educarsi, quel numero di zitelle che il Monastero potrà ospitare”. Tra queste nel 1632 entrò nel Monastero donna Antonia Gurrieri vedova di don Luigi Henriquez Cabrera, Governatore della Contea, e, alla fine dell’800, donna Rosalia Arezzi di San Filippo , madre della beata Maria Schininà del Sacro Cuore

Crebbe il numero delle suore sino a quando il terremoto del 1693 non distrusse Chiesa e Monastero, e sotto le macerie  ne morirono parecchie . La comunità si disperse e nel 1718, quando erano rimaste solo due suore, Angela Arezzi e la sorella, che eroicamente resistettero in condizioni ambientali inimmaginabili e con sacrifici al limite dell’eroismo, furono recuperati i beni dispersi con il terremoto e iniziò la ricostruzione. Per primo fu completato il Monastero, che già nel 1727 poté accogliere le prime novizie, e nello stesso anno cominciò la ricostruzione della Chiesa. I lavori  continuarono sino al 1732, anno in cui la nuova Chiesa venne aperta  al culto.

Ma la costruzione, cominciò ben presto a presentare crepe, lesioni e altri difetti nelle murature tanto che il Vescovo nel 1756 autorizzò la badessa, la ragusana Battistina Arezzi, a comprare  per 100 onze l’attigua chiesa di San Tommaso, il campanile e il cimitero antistante la porta della Chiesa, per fare “una nuova fabbrica”.

Demolito il vecchio edificio, la fabbrica della nuova Chiesa iniziò nel 1759 e i lavori si conclusero nel 1798, anno in cui fu aperta al culto.

Il progetto è attribuito al carmelitano fra’ Alberto Maria di San Giovanni Battista, attivo nella Sicilia sudorientale sino al 1785.

Il prospetto della chiesa presenta due ordini, è convesso nella parte centrale, con un grande timpano ricurvo su cui poggia la cella campanaria a tre arcate. Il maestro scultore ragusano Muccio, scolpì i i capitelli delle colonne e le sei statue del prospetto: San Benedetto e San Mauro, sulle volute del primo ordine, San Gregorio Magno, Sant’Agostino, Santa Scolastica e Santa Gertrude sulla facciata ai lati del portale. Un “magister faber” sciclitano, Filippo Scattarelli, forgiò la maestosa e bellissima grata in ferro battuto.

La chiesa ha pianta ellittica con endonartece biabsidato e abside semicircolare costruita in tufo tra il 1785 e il 1790.  Nel 1793 vennero realizzate le decorazioni a stucco, opera del palermitano Gioacchino Gianforma e, soprattutto, di Agrippino Maggiore di Mineo e di Giuseppe Cultrera di Licodia; nello stesso anno Sebastiano Lo Monaco affrescò la volta con “la gloria di S. Benedetto” e il ragusano Matteo Battaglia affrescò“ lo Spirito Santo” del cappellone e dipinse la tela della “Sacra Famiglia con le ciliegie” sull’altare maggiore.Tommaso Pollace nel 1801 dipinse le tre tele degli altari laterali e con i ragusani Carmelo Cultraro e Corrado Leoni ricoprì gli altari , che sono di pietra bianca, con vetri dipinti, tra i più belli del genere, la quarta tela, con una maestosa “Trinità” è di Giuseppe Crestadoro.

Un prezioso pavimento di pietra pece, calcare tenero e piastrelle di ceramica di Caltagirone, completa questo monumento , voluto da una comunità di suore  che hanno dimostrato con ferrea determinazione di sapere unire la fede all’arte. I cinque rintocchi di campana scanditi,  ad ogni ora, uno per ogni continente, ricordano alla città che in questa Chiesa sono presenti  le monache che pregano per il mondo intero senza distinzione di razza o di religione.

Andrea Ottaviano

Tags: , , ,


Autore

"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna Su ↑