Pubblicato il 29 Marzo 2022 | di Redazione
0Maestro e testimone
Ed eccoci qua: giovedì 24 febbraio presso la Chiesa di San Pio X, riprendono in presenza, dopo una pausa di due anni, i nostri incontri di formazione promossi dall’Ufficio per l’Insegnamento della Religione Cattolica.
Il nostro primo incontro è alimentato da una gioiosa attesa sia per il nostro ritrovarci finalmente faccia a faccia sia per il nostro primo incontro con il vescovo monsignor Giuseppe La Placa.
Dal vescovo siamo stati invitati e chiamati ad “essere presenza”, a non accontentarci della mediocrità ricordandoci che ciò presuppone una vera e propria formazione teologica, pedagogica, psicologica e di aggiornamento costante. Un insegnante di religione non può non tenere in conto questi elementi. Non si può insegnare in maniera autorevole se non c’è l’adesione del cuore e della mente a ciò che si insegna.
L’invito del vescovo Giuseppe ha poi puntato in alto: non solo bravi ma eccellenti insegnanti! Forse è un po’ troppo: eh no in fondo! Un po’ come Gesù che ci invita ad essere perfetti come il Padre suo!
Alla fine risulta più che evidente che insegnare religione non è un mestiere!
Bisogna curare il proprio cammino spirituale!
Bisogna coltivare la passione educativa che ci deve caratterizzare nell’affrontare il nostro lavoro e se vogliamo dare il massimo c’è sempre bisogno di fare un esame di coscienza per trovare vie nuove per incontrare la realtà giovanile ricordandoci che è sempre l’amore che spalanca le porte!
Il percorso formativo prosegue nella nostra Diocesi con l’ospitare il XVIII corso regionale di aggiornamento diretto dalla professoressa Barbara Condorelli e promosso dal Coordinamento regionale per l’Insegnamento della religione cattolica della Conferenza episcopale Siciliana, in collaborazione con M.I.U.S.R. Sicilia e che vede la partecipazione di rappresentanze di insegnanti di ogni ordine e grado delle varie diocesi siciliane. La sfida del nostro aggiornamento aveva come tema “Azione d’aula efficace nell’IRC: didattica inclusiva e innovazione metodologica, per una educazione significativa alla relazione e all’alterità”.
I relatori che sono intervenuti all’apertura dei lavori del corso, don Vito Impellizzeri (docente di Teologia Fondamentale Facoltà Teologica di Sicilia Palermo – Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Facoltà Teologica “San Giovanni Evangelista”, Palermo) e il professor Luigi D’Alonzo (docente ordinario di Pedagogia Speciale all’Università Cattolica di Milano) hanno decisamente scandito che bisogna fare ermeneutica della società nella quale “abitiamo” e nell’abitare la relazione nella società della solitudine bisogna coniugare una didattica innovativa per una scuola inclusiva.
Inclusiva!
Inclusiva nella constatazione sempre più evidente che i ragazzi sono sempre più difficili: dobbiamo prenderne atto sapendo distinguere tra i comportamenti “problema” e i comportamenti “problematici” ovvero quelli degli alunni che non hanno un deficit e sono perfettamente capaci di entrare nella vita sociale.
Se si vuole lavorare bene in classe dobbiamo essere in grado di saper leggere e capire le ragioni dei comportamenti “problematici” (mancanza di autocontrollo, debole autostima, sfida verso il docente, prevaricazione nei confronti dei compagni, disinteresse, demotivazione, ricorso a sotterfugi per nascondere i limiti, ricorso a inganni frequenti, reazioni di difesa, atteggiamenti non trasparenti, linguaggio scurrile, contegni maleducati, condotte violente, aggressioni personali fisiche…) che sono il manifestarsi di carenze sociali, personali, familiari, scolastiche vissute dai nostri alunni.
Dobbiamo metterci in mente che se vogliamo capire le ragioni dell’altro è necessario riflettere su come è possibile uscire dalle nostre posizioni. È indispensabile coltivare la disposizione a lasciarsi dire qualcosa ed allontanare tutto ciò che può impedire o ostacolare l’ascolto.
I ragazzi non possono cambiare se non cambia il docente e spesse volte, bisogna dirlo, i conflitti con i nostri allievi sono innescati da noi stessi quando rispondiamo in modo impulsivo e lasciandoci guidare primariamente dalle emozioni con le nostre reazioni aggressive ed aspettative rigide.
Essere consapevoli dei nostri pregiudizi ci consente di vedere l’allievo per quello che è.
Il comportamento problematico è di fatto nutrito da situazioni in cui l’alunno non vede soddisfatto il suo bisogno di attenzione (sentirsi guardati, sentirsi degni di interesse, sentirsi riconosciuto, contatti verbali positivi), di connessione (i rapporti con i coetanei o con i docenti rappresentano un elemento di benessere o malessere), di identità (gli alunni aspirano a conquistare una reputazione personale), di competenza (rappresenta il desiderio di percepirsi come persona valida e capace: ciò favorisce la nascita di una motivazione), di controllo e perché no di divertimento con il desiderio di vivere la propria esistenza in modo leggero: difatti raramente gli apprendimenti significativi possono avvenire senza piacere (se l’insegnante “non piace” al ragazzo, l’apprendimento significativo non può avvenire).
Quando le aspettative degli alunni sono disattese possono insorgere problemi motivazionali, nascono emozioni di base poco contenibili che generano negli alunni paura e frustrazione.
Che fare allora?
Bisogna “abitare” la relazione e creare ponti con gli allievi i cui pilastri sono: genuinità, stima ed empatia.
Le relazioni si sono susseguite nel corso dei tre giorni con un gioco di stimoli e invocazione della lettura ermeneutica della realtà in cui operiamo e che ci obbliga a non dimorare nella routine. “Non dimorare nella routine” è stata la leva dei laboratori divisi in gruppi per ordine di scuola.
Il laboratorio della Scuola dell’Infanzia e Primaria è stato guidato dalla professoressa Ilaria Folci mentre il laboratorio della Scuola Superiore di Primo e Secondo grado dal professor Giovanni Zampieri.
Il corso ha coinvolto, inoltre, tutti in un laboratorio unico “IRC e cultura del territorio” guidato dal nostro professor Carmelo La Porta: “Il territorio Ibleo tra fiction e realtà: spunti per un setting d’aula affascinante e coinvolgente”.
Sabato, al termine dell’aggiornamento, ritornavano nella mia mente delle insistenti domande come quasi impigliate in una rete di provocazioni: Che tipo di insegnante sono? Maestro-cedro o maestro-palma? I primi alzano verso il cielo rami carichi di frutti, difficili da cogliere; i secondi sono generosi di frutti già sui rami bassi, in modo che anche chi è più piccolo possa coglierne e gustarne. Che tipo di didattica attuo nelle mie classi: Inclusiva? … Esclusiva o di fatto escludente? Ovvero una didattica comoda che silenzia la mia coscienza ma che qualche volta cede alla voglia di levarsi di torno i ragazzi più difficili. E allora, come diceva il grande don Lorenzo Milani, “se si perde loro, la scuola non è più la scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Concetta Vaccaro