Società

Pubblicato il 10 Maggio 2021 | di Saro Distefano

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Gli atteggiamenti mafiosi e i giovani. Possiamo ancora avere speranza

Sono stato tre ore con due classi del locale liceo classico “Umberto Primo”. Due classi che mi hanno invitato a parlare di argomenti molto interessanti. Entrambi gli incontri, ovviamente, da casa, davanti allo schermo del mio computer.

Una quinta ginnasio mi ha chiesto di riferire la vicenda della ricostruzione di Ragusa all’indomani del terremoto del 1693, una seconda liceo mi ha sollecitato una conversazione sul potere mafioso.

Nell’un caso, coi più piccoli, la ora e mezza trascorsa insieme mi ha colpito per la preparazione di alcuni alunni. Ho capito che molte delle loro informazioni sul terribile sisma di tre secoli fa derivava dalla consultazione di Wikipedia. E non mi ha scandalizzato. Anzi. È un sistema facile e veloce per acquisire notizie. Ho apprezzato, in alcuni dei ragazzi e delle ragazze della quinta ginnasiale, la voglia di intervenire, di discutere, di chiedere. Anche in pigiama dalla loro stanza di Ragusa, Marina di Ragusa, Chiaramonte e Santa Croce.

Nel caso dei più grandicelli, diciassettenni, la conversazione sul “potere mafioso” è stata sollecitata dalla vicenda di Rosario Livatino. Tutti sapevano, molti avevano approfondito, alcuni ragionavano in maniera speculativa, mettendo in collegamento argomenti diversi, oggi diremmo attivando tanti e tutti interessanti link.

Appare evidente a tutti quelli che con la scuola di oggi hanno rapporti più o meno diretti che la dad non è scuola. La lezione in aula, il guardare negli occhi quelle giovani donne e quei ragazzi dietro a un banco, la loro postura, i loro commenti, le domande, quella è la scuola.

La dad è un surrogato che però, sia detto subito e chiaramente, è benedetto. Senza quella tecnologia si sarebbe perso un intero anno scolastico, forse due.

Stare cinque ore al giorno davanti ad uno schermo è prova di forza e volontà notevolissime. Lo è per gli alunni e lo è altrettanto per i docenti. La loro formazione, la loro educazione sono messe fortemente a rischio da un sistema che non potrebbe proporre altre alternative.

Ma quelle voci fresche che chiedono del perché la mafia non sia stata ancora sconfitta, del perché posteggiare in doppia file e creare una coda in una strada cittadina è atteggiamento mafioso, del perché anche davanti all’emergenza sanitaria più grave della storia i “mafiosetti” hanno ottenuto un vaccino prima degli aventi diritto, del perché mafiosi siamo tutti quelli che diamo fuoco ai boschi e quelli che non raccogliamo la cacca del nostro cane a passeggio, quelle voci, si diceva, danno una speranza. Fanno tremare il cuore e inumidire gli occhi a noi anziani. Quei ragazzi che tra dieci anni saranno padri e madri, lavoratori, dovessero mantenere anche solo una minima percentuale della loro attuale voglia di freschezza e pulizia, saremo allora salvati dalla barbarie.

Di quei cinquanta ragazzi che mi hanno sommerso di domande e dubbi per oltre tre ore anche uno solo dovesse diventare Rosario Livatino, potrei dire di avere dato il mio seppur microscopico contributo alla creazione di un vero uomo, di una vera donna, di un essere esemplare.

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Autore

Nato a Ragusa nel 1964 è giornalista pubblicista dal 1990. Collabora con diverse testate giornalistiche, della carta stampata quotidiana e periodica, online e televisive, occupandosi principalmente di cultura e costume. Laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, tiene numerose conferenze intorno al territorio ibleo.



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