Attualità

Pubblicato il 1 Ottobre 2024 | di Enrico Giordano

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Paralimpiadi… paradiritti

“Anno 2164. Oggi a Globitol, la capitale mondiale, si aprono le 68esime Olimpiadi (LXVIII come ancora si scriveva fino a qualche secolo fa). Questa edizione si caratterizza per la sua unicità: a questa, infatti, non seguirà la sessione paralimpica, l’ultima, la 51esima è stata nel 2160. Grazie ai provvedimenti degli Illuminati Governi Riuniti (aborto fino alla nascita, eutanasia obbligatoria universale, manipolazione genetica, tecniche avanzate di riproduzione e selezione) non esistono più disabili: siamo tutti perfetti (le tare e le turbe mentali sono notizie false e tendenziose della propaganda antigovernativa)!”

Così si potrebbe leggere in qualche romanzo distopico di fantascienza. Premetto che pur non essendo sportivo, se non seguendo le sintesi degli avvenimenti dei vari Tg, l’idea delle Olimpiadi, di un luogo ed un momento in cui tutte le Nazioni del Mondo sospendono le ostilità (solo anticamente purtroppo) e mandano le donne e gli uomini migliori a gareggiare, già piace e commuove il motto Citius, Altius, Fortius – Communiter, che significa “più veloce, più in alto, più forte – insieme” (insieme fu aggiunto nel 2021).

Sono persone che per raggiungere l’eccellenza nella loro specialità si sottopongono ad una dura disciplina: sveglia presto, ore di allenamento, poca vita sociale e, perfino (! n.d.r.) dieta mirata. E questo vale proporzionalmente a tutti gli sportivi agonisti nei vari livelli ed ambiti ( si potrebbe applicare mutatis mutandis questo modello anche ai credenti, ma questo è un altro discorso).

Ma quelli che mi fanno “ impazzire” sono i paralimpici: già nella vita hanno dovuto superare ostacoli che tanti altri non hanno, chi per nascita, chi per incidente, ma non ancora appagati sfidano se stessi e il mondo dei normodotati. Non si rassegnano ad essere degli “scarti”, ma alzano la testa  e affermano la propria voglia di vivere, non sopravvivere.

Qualcuno alla fine vince una medaglia di un qualche metallo, ma, forse, non è quello la cosa più importante: tutti coloro che partecipano, atleti e non, ma anche tutti quelli che cercano di superare i propri limiti con fatica e determinazione dimostrano che l’uomo è tale non perché ha due braccia e due gambe, ma perché ha un’anima, una sete d’infinito che si ritrova dalla nascita dentro e che non si dà da sé, ma la inscrive nel suo cuore (biblicamente parlando) Qualcun altro.

L’uomo è una creatura e la sua massima realizzazione è conoscere ed aderire al progetto del suo Creatore e nella Sua dipendenza (può sembrare paradossale a noi umani) troverà il massimo della sua libertà, perché chi dipende da Dio non dipende da nient’altro (vizi, ideologie, ricchezze…) e la sua dignità non risiede in quello o in quell’altro attributo, ma nel semplice fatto di esistere.

Passata l’ondata sentimental-patriottica ricordiamoci di questo e, nella vita di ogni giorno, riconosciamo i segni della grandezza nel feto che attende di vedere la luce, nell’anziano che intravede tramontare la propria e nel disabile che sfida il suo limite e, soprattutto, riconosciamo il loro diritto alla vita (base fondamentale) e di tutti gli altri che consentano di dare un loro contributo (sicuramente non banale) alla nostra società.

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Autore

Nato a Ragusa nel 1959. Bancario dal 1979 al 2022. Aderisce all’associazionismo ecclesiale ed è dedito al volontariato rivolto verso l’aiuto alimentare agli indigenti e per il rispetto del diritto alla vita. Già direttore di Insieme e presidente del Movimento per la Vita di Ragusa.



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