Pubblicato il 8 Ottobre 2024 | di Redazione
0Cercando un senso oltre il disagio che vivono gli adolescenti
Nella splendida cornice del Palazzo Labisi di Comiso si è tenuta lo scorso 5 ottobre la tavola rotonda promossa dall’Ufficio per la Cultura della Diocesi di Ragusa, dalle associazioni La Voce e Calicantus dal titolo: “Violenza e solitudine: il non senso nel disagio giovanile”. A intervenire a cura il professor Giuseppe Di Mauro e la dottoressa Aurora Donzelli. Il tema del disagio è stato affrontato dai relatori come una tavola rotonda aperta a giovani delle ultime classi dei licei classico e scientifico “G. Carducci” di Comiso, in presenza della dirigente scolastica Maria Giovanna Lauretta e di padre Biagio Aprile, direttore dell’Ufficio suddetto.
Il tema del disagio giovanile è stato sviluppato e definito come una ricerca di significato che l’adolescente oggi non sempre riesce a fare causa tempi sempre più accelerati, spazi sempre più indefiniti, emozioni più confuse, indistinguibili, difficili da regolare. Non c’è tempo per pensare, l’agito diventa la regola per soddisfare bisogni improcrastinabili che minano la sopravvivenza: ciò comporta la non interiorizzazione delle esperienze che si fanno, la non riflessione sulle proprie e altrui risposte e la compromissione della costruzione di una narrativa personale coerente, responsabile e consapevole. Le azioni perdono il loro significato, rimanendo per lo più re-azioni a un contesto familiare o sociale, vissuto come oppressivo, distante, non empatico, se non finanche ostile.
L’affermazione di sé e il bisogno di appartenenza non sempre vanno di pari passo: la complessità dell’Essere diventa frammentazione contraddittoria dove i contrasti esulano dalla relazione con le situazioni, manca una gradualità dell’espressione emotiva: le emozioni vanno represse… La mancanza di certezze diventa ricerca di autocura attraverso soluzioni disfunzionali che possono portare a comportamenti di dipendenza, assunzione di ruoli negativi, rifiuto del senso del limite umano e del fallimento vissuto come debolezza. Si tende a patologizzare le emozioni: “sei triste/sei depresso”, “sei preoccupato/sei ansioso”, “sei arrabbiato/sei antisociale” e l’identificazione con l’enfatizzazione del sentire può determinare stati dissociativi, ritiro sociale, autosvalutazione, incremento dell’aggressività come autodifesa da minacce alla propria sopravvivenza.
La partecipazione attiva dei giovani studenti ha dato seguito a un dibattito condiviso con i soci delle associazioni, con il pubblico presente composto da genitori, nonni, professionisti e docenti. Prendendo spunto da quanto emerso nei questionari anonimi presomministrati a scuola dai docenti, si è dato luogo ad una feconda possibilità di riflettere e approfondire le tematiche.
I giovani del Carducci intervenuti hanno manifestato il loro legame alle figure familiari come punto di riferimento prevalente e anche quello dei coetanei con i quali hanno maggiori affinità. Importante appare per loro e per i genitori-nonni il bisogno di ascolto non giudicante, di confronto, di accompagnamento e di affiancamento nel loro cammino verso l’età adulta senza invasione… Capire le ansie dei genitori e il loro bisogno di rassicurazione è uno dei tanti aspetti emersi, così come imporsi di trovare tempo per sé.
Particolare attenzione è stata dedicata alle disfunzioni della seconda agenzia educativa dopo la famiglia: la scuola. È stata denunciata la silenziosa complicità di quanti preferiscono attaccarsi a programmi e competenze, piuttosto che a esplorare le sfere ampie e complesse dell’umano, a scapito di una educazione integrale della persona. Un percorso di studio concentrato per la maggior parte sugli aspetti cognitivi, senza alcuna attenzione al corpo e con scarsa considerazione dei vissuti interiori è destinato a fallire i suoi obiettivi formativi. La specializzazione estrema dei saperi, l’assenza di interdisciplinarietà, la frammentazione eccessiva dell’offerta formativa contribuisce a creare negli alunni una mentalità competitiva e non cooperativa, una ricerca della migliore performance a scapito dello sviluppo di competenze umane fondamentali oggi relegate alle cosiddette soft skills o “competenze trasversali”. Così la ricerca di senso indispensabile per orientare le scelte della vita e creare dei cittadini responsabili ne risulta gravemente inficiata e spesso spostata (e deviata) sui contenuti nocivi di ciò che rappresenta oggi la principale fonte di (in)formazione informale: i social network con i suoi “guru”.
Non poteva chiudersi in modo migliore quella che costituisce solo la prima tappa di un percorso avviato, in cui giovani e adulti, figli e genitori, studenti e insegnanti sono chiamati ciascuno a suo modo a mettersi in discussione, che con le parole del cantante Fabrizio Moro della canzone “Ho bisogno di te”, una descrizione poetica del sentire il disagio e del tentativo di ricercare sempre e comunque un senso.
Aurora Donzelli
Giuseppe Di Mauro