Pubblicato il 30 Novembre 2015 | di Redazione
0L’omelia di inizio del Ministero Pastorale di Mons. Cuttitta
Di seguito l’omelia del Vescovo Cuttitta per la Celebrazione Eucaristica che ha avuto luogo nella Cattedrale di San Giovanni Battista lo scorso sabato.
“Cari amici, fratelli e sorelle che condividiamo insieme la Fede nel Signore Risorto, cari sacerdoti che il Signore mi dona come mia nuova famiglia, cari diaconi che ci ricordate il servizio umile che la Chiesa deve svolgere a favore degli uomini e delle donne, cari seminaristi futuro di questa Chiesa, cari cittadini di Ragusa con cui condividerò un tratto di cammino, a tutti giunga il mio saluto affettuoso e fraterno.
1. Siete accorsi numerosi in questa Cattedrale per vivere un intenso appuntamento di fede e di preghiera nel momento in cui accogliete il nuovo pastore. Leggo nella vostra presenza l’affetto fraterno e la conferma della decisione che più ci riguarda e ci coinvolge, quella di annunziare il Signore, di raccontare con la forza della testimonianza la vita buona del Vangelo e di aprire nuovi sentieri che permettano ad ogni uomo e ogni donna di fare l’esperienza della misericordia di Dio dalla quale nessuno di noi può scappare. Solo la sua misericordia ci salva!
2. Desidero anzitutto rivolgere il mio pensiero affettuoso al Santo Padre Francesco, che ha deciso di affidarmi la cura pastorale della Chiesa di Ragusa. Sono profondamente grato al Papa per la fiducia che ha riposto nella mia povera persona e rinnovo verso il Successore di Pietro i vincoli di comunione e la mia filiale obbedienza e fedeltà.
3. Concedetemi di salutare in modo particolare il fratello Vescovo Paolo, che mi consegna questa giovane e bella Chiesa Iblea, da lui guidata in questi ultimi tredici anni, nella quale ha impiegato le sue risorse e capacità, per l’annunzio del Vangelo, rimanendo vicino alla gente, facendosi carico dei loro problemi, soprattutto di chi è più sfortunato e ha avuto meno degli altri dalla vita. Grazie, caro fratello Paolo, che circondando di affetto e cura la vigna del Signore l’hai resa più bella, più santa e più obbediente alla volontà dell’unico Signore Gesù, sposo della Chiesa. Questo è il testimone che mi consegni e che io farò mio, e che con l’aiuto di Dio, cercherò di onorare nel tempo del mio ministero a favore della Chiesa di Ragusa, che già amo con tutto me stesso.
4. Saluto al Card. Paolo Romeo, Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, con il quale ho avuto il privilegio di lavorare per otto anni quale vescovo ausiliare della Chiesa palermitana. E lo ringrazio per i tanti gesti di attenzione paterna nei miei confronti. Ringrazio e saluto i Vescovi intervenuti per condividere con me questo bello e significativo appuntamento; un grazie che estendo anche ai confratelli assenti per impegni impellenti ma che non hanno mancato di esprimermi la loro partecipazione. La vostra presenza, segno dell’amicizia vera che lega l’Episcopato siculo, mi è di sostegno e di incoraggiamento e ve ne sono grato.
5. Con molto piacere saluto tutte le Autorità – civili, politiche e militari – in particolare i rappresentanti delle Istituzioni della Città e della Provincia di Ragusa insieme con i sindaci dei Comuni del territorio della Diocesi. Ci siamo incontrati qualche momento fa, all’inizio di questa serata, per il saluto istituzionale, premessa – credo di poterlo dire – di una reciproca disponibilità ad incontrarci e a collaborare. Noi abbiamo un percorso da condividere, al di là degli specifici ambiti di competenza, ed è il bene comune della gente. Voi lo ricorderete a me ed io farò altrettanto con voi, se mai dovessimo in qualche maniera dimenticarlo. La passione della Chiesa è l’uomo vivente con tutte le sue problematiche, le sue attese, le sue preoccupazioni, soprattutto in questo tempo in cui le preoccupazioni non mancano davvero. Io non ho e non posso e non debbo avere soluzioni ai tanti problemi sociali, economici e politici che affliggono la nostra società, ma vorrei solo essere accanto a voi, a cui i cittadini affidano il loro presente e il loro futuro, per essere segno di speranza per coloro che l’avessero perduta, per essere voce di chi non ha voce. Saluto e ringrazio anche il rappresentante del Sindaco di Palermo e il Sindaco di Godrano, mio paese natale.
6. Permettetemi ora, cari fratelli e sorelle di Ragusa, di rivolgermi anche ad altre persone che intravedo dentro e fuori la Cattedrale. Lo faccio per l’ultima volta, ma non posso non rivolgermi ai palermitani – sacerdoti, religiosi e laici – che sono accorsi numerosi per testimoniarmi il loro affetto. Senza il sostegno della vostra presenza e del vostra vicinanza il percorso da Palermo a Ragusa, non tanto breve, sarebbe stato molto più lungo e senz’altro più duro. Grazie per questi anni di condivisione e di fraternità che mi avete donato. Grazie alla comunità di Godrano dove sono nato, alla parrocchia S. Giuseppe Cottolengo dove sono stato parroco per undici anni, grazie a quanti hanno arricchito la mia vita e la mia esperienza presbiterale ed episcopale e mi sono stati vicini con amicizia e amore grande. A voi il mio saluto, il mio ringraziamento e il mio affetto. Vi affido al Signore e alla sua grazia.
7. Ed ora, cari sacerdoti, diaconi, consacrati, popolo santo di Ragusa mi accingo ad inserirmi nel vostro cammino. Vengo a voi con semplicità e vi sarò grato se vorrete accettarmi per quello che sono, con pregi e difetti. Non so quello che potremo fare; so soltanto che il Signore ci precede e ci chiama all’operosità
Noi non possiamo indugiare, né fermarci di fronte a problemi anche complessi, né sostare compiaciuti nel già fatto ed acquisito. Perché tra l’altro la vita ci incalza continuamente e ci mette di fronte a situazioni sempre nuove e diverse. Il tempo che il Signore ci dà è dono da spendere bene e voi ne avete la possibilità perché la chiesa di Ragusa (io l’ho appreso in questi due mesi), è ricca di iniziative, è intraprendente, zelante – è una bella Chiesa come mi ha ripetuto più volte il Vescovo Paolo – che può contare su di un clero e un laicato formato e competente. Io sono l’ultimo arrivato e chiedo la vostra collaborazione, perché da soli non possiamo andare molto lontano: vi chiedo di camminare insieme, guardandoci in faccia, con amicizia e lealtà, senza frapporre indugi, magari tenendo il passo di chi non ce la fa, o fa più fatica a camminare. Cari fratelli sacerdoti – mi rivolgo soprattutto e prima di tutti a voi – abbiate uno spirito di servizio generoso, la volontà di camminare tutti insieme, respingendo la tentazione dell’isolamento. Voi ne siete capaci e io conto su ciascuno di voi. Mettiamo sempre al vertice delle nostre scelte non il tornaconto personale, ma lo zelo per l’annunzio del Vangelo e l’amore per la nostra Chiesa.
8. Questo non è il momento di fare proclami o di presentare programmi. Avremo modo d’incontrarci, di conoscerci, di parlarci con schiettezza e voi mi farete conoscere ancora meglio questa nostra Chiesa e la sua gente, alla quale mi sento già legato e per la quale in queste settimane ho pregato incessantemente. Voi, cari presbiteri, siete la mia famiglia; con voi chiedo di poter camminare. L’abitazione del Vescovo è la vostra casa, le sue porte resteranno per voi sempre aperte.
9.Vorrei far giungere il mio saluto anche ai nostri seminaristi. La Chiesa vi aspetta e vi chiede di tendere con grande responsabilità alla mèta del sacerdozio, impegnando mente e cuore nella vostra formazione spirituale e culturale. Il nostro mondo ha necessità di sacerdoti, uomini veri prima di tutto, dalla forte personalità, dal cuore grande, che sappiano stare con coraggio e competenza in mezzo alla gente e sappiano essere testimoni credibili del Signore.
Conosco le difficoltà che la pastorale vocazionale incontra, ma vi chiedo di non dimenticare mai il seminario; fate sentire loro la vostra vicinanza, il vostro interessamento, la vostra stima; pregate per loro: ce l’ha raccomandato Gesù stesso. Lo chiedo fin da subito alle comunità parrocchiali; lo chiedo a tutti fedeli; lo chiedo agli anziani, a chi è costretto all’inattività dalla malattia: nelle vostre lunghe giornate, riservate uno spazio della vostra preghiera, invocando dal Signore vocazioni per la nostra Chiesa.
10. A voi laici, diretti collaboratori negli uffici della Curia; voi impegnati nelle varie opere diocesane, nella Caritas, nelle parrocchie, nei gruppi e istituzioni di volontariato, nelle varie comunità e associazioni ecclesiali, rivolgo il mio saluto e vi assicuro la mia stima e l’attenzione per quello che siete e fate. Noi e voi – sacerdoti e laici – siamo il popolo di Dio dove ognuno ha la sua dignità e il suo compito in virtù del medesimo battesimo che abbiamo ricevuto.
Senza di voi, senza la vostra testimonianza, la Chiesa sarebbe più povera. La vivacità di una comunità la si misura dalla vostra presenza. Ed io so che voi ci siete e continuerete a non far mancare il vostro aiuto, il vostro consiglio, la vostra competenza. Vi ringrazio; vorrò conoscervi nei luoghi del vostro impegno e apostolato per stringere con voi tutti legami di amicizia e di collaborazione.
11. Un pensiero particolare vorrei far pervenire ai nostri giovani. Che vorrò incontrare prima possibile. Voglio fin d’ora dirvi: abbiate fiducia; il Signore non viene a togliere ma a donare: Voi desiderate la felicità: il Signore è la felicità. Lui solo dà senso alla vita: Lui solo è la Bellezza che voi cercate. Evitate quella doppiezza che umilia della vita nella quale cadono inesorabilmente tanti vostri coetanei che ricercano una felicità effimera nell’alcol o in paradisi artificiali. Voi non siete così: testimoniate questa vostra diversità e non voltate le spalle a chi – solo – vi dice la verità sulla vostra vita e può dare risposte vere alle vostre legittime aspirazioni.
12. Ma, cari fratelli, che condividete con me questa eucarestia di lode, lasciamoci ancora condurre dalla Parola, quella che conta davvero, la Parola del Signore, con la quale Lui ci raggiunge e ci parla; la Parola che accompagna e dà senso alla nostra vita e indirizza le nostre scelte.
Oggi, con la prima domenica di Avvento diamo inizio al nuovo anno liturgico. L’Avvento è innanzitutto”preparazione ala Natale” ma è anche il tempo “attraverso cui lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. Esso è caratterizzato contemporaneamente da entrambe le venute di Cristo, quella storica e quella escatologica.
Ma noi cristiani aspettiamo davvero l’evento della venuta nella gloria del Signore, oppure non ci crediamo, lo consideriamo un mito? Ma è su questa venuta che si decide la nostra fede, la quale non è solo un’etica, non è solo l’adesione a una storia di salvezza, ma è speranza certa della venuta del Signore.
Abbiamo elevato la nostra preghiera al Signore con le parole del Salmo: “A Te Signore innalzo l’anima mia, in te confido”. La nostra fede ha un fondamento saldo, sicuro. Il profeta Geremia invita il popolo di Dio che vive l’esperienza della sconfitta e dell’esilio a non dubitare delle premesse di Dio, perché Egli non viene meno nel realizzare ciò per cui si e impegnato. “Verranno giorni, oracolo del Signore, nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele”.
Mentre noi vigiliamo in attesa del Signore anche Dio vigila sulla sua parola per realizzarla nella storia. Egli è fedele e porterà a compimento le sue promesse. Dunque non possiamo dubitare di Dio che è fedele, piuttosto dobbiamo vigilare sulla qualità della nostra fede. La fede va nutrita di speranza e di carità concreta.
Il brano del Vangelo di Luca ci ha proposto il discorso escatologico di Gesù: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di genti in ansia per i maremoti e le tempeste”. Gesù si serve del linguaggio apocalittico, quello di una corrente spirituale che cercava di far rinascere nei credenti la speranza, soprattutto in tempi di prova, di persecuzione e di tenebra. Anche nel nostro tempo si manifestano segni che ci fanno perdere la speranza, che ci preoccupano, che ci mettono paura. Ma la paura non è dei discepoli del Signore: essi infatti sanno che il Signore a suo tempo capovolgerà il male in bene, sia nella nostra vita personale che in quella sociale ed umana.
Che fare dunque in attesa di quel giorno? Vigilare, stare attenti, osservare la realtà nella quale si è immersi, abitare la vita reale del nostro tempo, come fa il contadino che vive tra glia alberi di frutta e li conosce, li osserva e li cura, dal fico comprende anche l’andamento delle stagioni. Così, quando noi leggiamo in profondità eventi del nostro tempo e realtà dei nostri luoghi, possiamo interpretarli come “segni”, cioè segnali capaci di indicare qualcosa. I discepoli di Gesù devono essere esercitati a interpretare, per comprendere come e dove va la storia guidata da Dio e come gli uomini si oppongono a questo cammino.
Dobbiamo essere osservatori acuti e non rimanere inerti, come se la cosa non ci riguardasse, dobbiamo sviluppare il nostro amore concreto verso i problemi delle nostre città, del nostro territorio; i problemi del lavoro che preoccupano tante famiglie; il problema dell’immigrazione che ci tocca così da vicino; i problemi dei giovani che guardano con apprensione un futuro sempre più incerto; delle famiglie là dove la relazione diventa difficile, dove un affetto muore, dove i figli piangono, dove si avverte la difficoltà a trovare strade per dare una giusta educazione ai figli; il problema delle persone anziane, sole, malate; il problema dei poveri che ci passano accanto senza che nessuno si accorga di loro, non possono trovarci assenti o scarsamente attenti.
Vorremmo continuare a portare il nostro contributo per poter dire al termine della nostra giornata, di aver lasciato il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato.
Ora è il tempo della Chiesa in uscita, come ci ricorda continuamente papa Francesco. E’ tempo di uscire dal tempio per incontrare la gente dove questa vive; tempo della missione affidataci dal Signore Gesù. La Chiesa, la nostra Chiesa, è missionaria; esiste per educare e quindi per evangelizzare. Incontreremo difficoltà, momenti duri, ma noi non possiamo tacere: abbiamo una parola da dire e da dare, ed è la Parola di Gesù Cristo. Sia Lui, il Signore, la forza del nostro pensare e del nostro agire. Dalla Chiesa, dove il popolo di Dio s’incontra per pregare, per ascoltare e meditare la Parola e per nutrirsi del Pane di vita, ripartiamo – sacerdoti, fedeli e persone di buona volontà – per dire a chi ci incontra, con la convinzione e il coraggio della parola e la forza della testimonianza, che il Regno di Dio non è un’illusione ma è reale ed avrà il suo compimento nel Nome del Signore Gesù. E cosi sia.”.