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Pubblicato il 27 Febbraio 2023 | di Saro Distefano

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È il dramma della nostra società, non chiamiamolo dramma della solitudine

Sempre, e dico sempre, i giornali (cartacei, online, televisivi, antichi, radiofonici, neonati, seri, buffoneschi) danno notizie di questo tipo titolando “ennesimo dramma della solitudine”.

Accade quando un uomo o una donna perde la vita da solo, in casa, senza nessuno accanto. E a maggior ragione se la notizia viene data molto tempo dopo il momento della morte, che infatti è sempre “stabilito dal medico legale”.

Certo, si dirà, quella persona è morta da sola, in casa propria, senza qualcuno che l’assistesse all’ultimo respiro, senza una mano che stringesse la sua.

Quindi è morto solo. Quindi un dramma della solitudine.

E invece no, cari colleghi titolisti. Chi muore solo non è vittima della solitudine. Chi muore è sempre solo al momento del trapasso. Ma il morire da solo in casa, e coll’aggravante che la salma venga scoperta molto tempo dopo (e quante volte solo perché i vicini del condominio hanno “sentito cattivi odori provenire dall’appartamento dell’anziano”) non è, non può essere un dramma della solitudine. È piuttosto il dramma della nostra società. Della moderna civiltà che ha ormai del tutto perduto il vero senso, il significato profondo della morte e quindi della vita. La moderna società che permette – senza che nessuno si faccia scrupolo quantomeno di riflettere sul dato – che anziani vivano da soli senza uno straccio di rapporto umano, senza qualcuno che ne possa avere cura e vicinanza, contatti, anche solo una telefonata, una breve visita.

L’ultimo giorno di gennaio dell’anno 2023 una signora di Scicli, di novanta anni, è stata trovata morta nella sua casa. Quartiere Strada Nuova. Viveva senza telefono, e forse anche per questo la sua morte è stata scoperta solo alcuni giorni dopo l’evento, e solo perché alcuni parenti “non avevano notizie” della congiunta. Certo, se la parente non ha il telefono le notizie puoi averle solo se vai a trovarla. Tant’è che quando una sua nipote è andata, non ha avuto risposta al citofono. Da lì l’intervento delle forze dell’ordine e dei vigili del Fuoco che hanno sfondato la porta d’ingresso all’appartamento. Immagino la scena. Uguale a quella di altre cento volte anche solo limitandoci al nostro territorio provinciale.

Non riesco a intravedere soluzioni a breve, e tantomeno facili. Ma è un dato che molti nostri anziani vivano da soli (e nel prossimo futuro saranno sempre più numerosi, “grazie” alla medicina e ancora di più alla drastica e costante riduzione delle nascite). Soli.

Io ero bambino mezzo secolo fa. E i miei nonni vivevano con noi, in casa, che non era propriamente una reggia. E mio nonno morì nel suo letto – a 68 anni, con accanto la moglie, i tre figli, generi e nuora e una pattuglia di nipoti a salutarlo per l’ultima volta. Sua moglie, mia nonna, morì quattro anni dopo, a 64 anni, da sola. Era agosto e tutti noi eravamo a Mazzarelli. Lei da sola a Ragusa. A scoprire il cadavere un mio cugino, poche ore dopo che un’altra mia cugina era andata a trovarla. Quella morte senza nessuno accanto, seppure per poche ore, non venne mai accettata da mia madre, da sua sorella e suo fratello. Non se lo perdonarono mai. Ma quella era ancora l’antica civiltà rurale degli iblei, seppure ai suoi ultimi e sofferti giorni.

Adesso siamo globali, moderni. E i nostri nonni li lasciamo vivere da soli, ed è già tanto se gli facciamo uno squillo, ma a patto che abbiano il Brondi o un vecchio Motorola.

 

 

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Autore

Nato a Ragusa nel 1964 è giornalista pubblicista dal 1990. Collabora con diverse testate giornalistiche, della carta stampata quotidiana e periodica, online e televisive, occupandosi principalmente di cultura e costume. Laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, tiene numerose conferenze intorno al territorio ibleo.



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