Pubblicato il 28 Febbraio 2023 | di Redazione
0La carezza di Dio su Masha e Nika
«Azadì! Azadì!». Il suono della parola che in persiano significa “libertà” percorre il corteo che attraversa il centro di Ragusa. Il gesto pubblico di mercoledì, 1 febbraio, è solo uno dei tanti realizzati in tutto il mondo sull’onda dell’indignazione per le condanne a morte di tanti giovani iraniani, ragazze e ragazzi, colpevoli unicamente di volere affermare, qui e ora, la propria libertà di esprimersi, di decidere, e persino di sbagliare.
Non mi capita spesso di partecipare a una manifestazione, neppure in forma di fiaccolata.
«Ragazzi – avevo detto in classe ai miei alunni impegnati a preparare la Giornata in cui si ricorda la Shoà – la memoria non riguarda tanto il passato, e non consiste nello schierarsi – a posteriori – dalla parte degli oppressi. Essa si esercita piuttosto come responsabilità che investe ciò che accade nel presente. È possibile, infatti, che la storia si ripeta, ma la modalità con cui i fatti accadono è ogni volta diversa e sempre i nostri sguardi rischiano di essere rivolti altrove».
Ed eccomi qui, insieme ad alcuni studenti e colleghi, a sfidare la fredda serata invernale, per partecipare al gesto promosso da Amnesty International, dalla Consulta studentesca e da una miriade di aggregazioni laicali cattoliche.
«Donna, vita, libertà!», grido ad alta voce pensando a Mahsa Amini e Nika Shakarami, le cui storie abbiamo letto in classe all’inizio dell’anno scolastico. Solo se facciamo vibrare in noi il grido dell’altro, uomo o donna che sia, infatti, l’umano che c’è in noi non si atrofizza. E il grido di chi non teme di mettere in gioco la propria vita non può non interpellarci nel profondo.
In piazza San Giovanni, gli organizzatori ringraziano quanti hanno dato vita alla fiaccolata. «Le religioni non calpestano i diritti degli esseri umani», scandisce il responsabile dei cooperatori salesiani della città invitando a firmare la petizione che Amnesty International indirizzerà all’Ambasciata Iraniana a Roma.
Penso ai genitori dei ragazzi uccisi dalla polizia morale iraniana, o di quanti sono stati condannati a morte dai tribunali per avere “mosso guerra a Dio”. Cosa risponde al loro dolore? Forse non basta una manifestazione. Cosa è, infatti, la libertà, di questa generazione o di quelle che verranno, se la vita finisce nell’ingiustizia del nulla?
Da genitore e da insegnante vorrei fare arrivare a quei padri e a quelle madri, la mia gratitudine. Gratitudine per avere, in qualche modo, educato i loro figli ad amare la libertà fino a dare la propria vita per affermarla. So che i miei alunni impareranno dal gesto dei loro figli molto di più di quanto potranno mai apprendere dalle mie parole.
Da cristiano vorrei ringraziarli per avermi ricordato che Dio ha dato la libertà alle sue figlie e ai suoi figli perché ha il gusto di essere amato liberamente.
Vorrei dire ai genitori di Mahsa e Nika e di tutti gli altri ragazzi uccisi ingiustamente, che i loro figli non morti inutilmente. Non basta una fiaccolata, ci vuole la carezza di Dio.
Mario Tamburino