Vita Cristiana

Pubblicato il 25 Settembre 2023 | di Emanuele Occhipinti

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Mi ha scritto il mio vescovo

Mi ha scritto il mio Vescovo! Ha scritto a tutti: famiglie e semplici battezzati, ministri e religiosi della nostra diocesi; a tutti e quindi a ciascuno, uno per uno. Mi ha scritto una lettera con spirito paterno, con la consapevolezza del suo ruolo di pastore di un unico gregge. Mi dice da subito che per un cammino autentico, rinnovato ed efficace della Chiesa diocesana, per il cammino dei cristiani verso il loro Signore, occorre superare particolarismi e personalismi. Nella Chiesa, infatti, particolarismi e personalismi nascondono la vera meta del suo cammino che è l’incontro con il Signore, capace di portare a compimento la vita di ciascuno. Non so se io sia particolarmente incline al soggettivismo ma so che la tentazione è subdola ed imperante, talvolta frutto di vanità ed eccessiva considerazione di sé, talvolta di una visione limitata e limitante della realtà, altre di inclinazione verso una competizione che divide. È cosa ben diversa l’originalità di ciascun battezzato che proprio nella Chiesa-comunità, nella Chiesa-corpo, ha la sua valorizzazione. Non si tratta di cancellare l’identità propria ma di comprendere intimamente che, da semplici battezzati o da ministri, la Chiesa non è nostra ma è del Signore Gesù e abbiamo il dovere di custodirla con una responsabilità assoluta. Lungi, quindi, da solitudini e isolamenti o da diatribe tra parrocchie e comunità ma ben lungi anche dalle medesime all’interno delle comunità o delle aggregazioni, il Vescovo trova necessario scendere dalla cattedra ideologica, che a volte ciascuno si costruisce, e camminare insieme, in comunione, coltivando i medesimi intenti. Niente individualismo ma un consapevole altruismo che volge all’unità e che ha i suoi riflessi positivi nell’azione pastorale.

Leggendo la lettera del Vescovo mi sono vergognato per tutte le volte che ho inteso la comunione ecclesiale limitata ai miei quattro amici del gruppo o della parrocchia ovvero come un banale “vogliamoci bene”, “mangiamo e facciamo festa, che bello!” E poi? Non intendo rinnegare la bellezza dell’agape fraterna né la valenza della festa, ma ho capito che la comunione ecclesiale nel nome di Gesù Cristo, cui il Vescovo mi esorta, scrivendomi appositamente, è camminare nella luce di Cristo Risorto ed essere luce per coloro che incontriamo. Più corresponsabile è il nostro compito più questa luce deve brillare. Una religione di facciata che non cambi il cuore e la mente o che ci rende spettatori di riti, è un’insufficiente interpretazione della responsabilità che viene dal battesimo ed è fortemente dannosa in un contesto sociale nel quale i cristiani hanno obbligo di testimoniare coerenza e fedeltà al Vangelo, per rendere Cristo visibile nella storia.

Si certo, non è facile! Lo fu difficile anche per i discepoli che erano stati tanti giorni con Gesù e ne erano estasiati: “Signore come è bello…!”. Eppure, non riescono a vegliare, si disperdono, lo tradiscono o lo rinnegano, non lo riconoscono… Ma proprio per questo Gesù ci lascia la Chiesa nella quale nasce e viene sostenuta la fede in Lui e ci abilità ad essere popolo che annuncia la Parola. A proposito, scrivendomi il Vescovo mi ha raccomandato di essere perseverante poiché solo così parteciperò in maniera attiva alla vita della Chiesa «con le porte aperte e allargate» e conserverò il senso di appartenenza e di condivisione. Ma come potrò rivestirmi di queste virtù, come potrò maturare questi atteggiamenti, per evitare di camminare in solitario? Cosa origina quella che il Vescovo, senza mezzi termini, chiama «esigenza di conversione, cambiamento di rotta nella continuità?».

Scrivendomi di quello che devo fare, egli non manca di sottolineare quello che devo essere e come lavorare su me stesso: mi chiede di essere assiduo nella preghiera personale e comunitaria, mi chiede di essere concretamente fraterno e accogliente, mi chiede di contemplare la Parola di Dio e di nutrirmi alla fonte della liturgia, di saper essere sale della terra e luce del mondo, di essere vicino a chi è lontano e a coloro che vivono ai margini della comunità, di essere portatore del Vangelo della gioia. Un bel cantiere! Un cantiere che mette in crisi il mio attivismo confuso e preoccupato, la mia religiosità comodista, le mie prassi abitudinarie. E mi fa intuire il sapore straordinario di una dimensione altra e ulteriore se l’ardore missionario ha origine da una rinnovata adesione d’amore.

Mi ha scritto il mio Vescovo, anzi, mi sta scrivendo, ridandomi la bussola del mio cristianesimo: il tempo in cui viviamo, le esigenze delle persone, la contestualizzazione della Chiesa nel territorio, una reciprocità significativa tra Chiesa e società. Sta semplicemente coniugando per me, nell’oggi della nostra diocesi, la Parola di Gesù. Mi sta scrivendo il mio Vescovo; non posso restare indifferente.


Autore

Laureato in Scienze Economiche e Bancarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lavora dal 1990 presso Banca Agricola Popolare di Ragusa, dove attualmente dirige il Mercato Imprese. E’ impegnato nell’associazionismo e nel volontariato nazionale ed internazionale, settori per i quali svolge anche il ruolo di formatore. Già presidente diocesano di Azione Cattolica, è, in atto, Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Ragusa e vicepresidente Unitalsi Ragusa.



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