La scelta del bivio
No, caro lettore, il titolo non è sbagliato, non è un refuso di stampa anche se normalmente non si sceglie il bivio, ma al bivio si fa una scelta. C’è stato un tempo, poche decine di anni fa, nel quale tutta la topografia mondiale non era contenuta nel nostro smartphone, anzi non c’era proprio lo smartphone, quindi i più previdenti, nell’approssimarsi di un viaggio in una zona sconosciuta si “armavano” delle relative cartine e studiavano preventivamente il percorso, ma siccome guidare e leggere non era consigliabile allora nominavano qualche familiare o amico “navigatore” col compito tra gli altri di destreggiarsi ai bivi o trivi o quadrivi che fossero (le rotatorie scarseggiavano). Se comunque malgrado tutte le accortezze ci si perdeva dopo un breve conciliabolo si individuava il bivio “sbagliato” e lo si riattraversava correttamente.
Similmente quando si sente un gran parlare di “diritti”, se non di “nuovi diritti”: uno dei “nuovi” è il diritto di aborto (a proposito tale qualifica non c’è nella legge 194) inteso come diritto di scelta (infatti nel Paesi anglofoni i pro-choise si contrappongono ai pro-life, forse perché non sarebbe stato una scelta giusta di marketing chiamarsi pro-death). Ma già quando siamo a questo bivio, prima di fare una scelta ripartiamo da un altro bivio: il concepito, l’embrione, il feto è un essere umano o no? Dalla risposta a questa domanda dipende il come “trattarlo”: se non è umano, se è solo un’appendice allora possiamo farne quello che vogliamo (ma ci sono leggi che regolano anche questo: pensate ai trapianti tra vivi) e parlo al plurale perché oltre alla madre (committente, biologica o gestante secondo le ultime varianti tecnologiche) potremmo anche comprendere i ricercatori genetici (e il padre? Qualcuno dirà: no quello non conta, dicono). Le tecniche diagnostiche sono sempre più precise, ma se ci fosse qualcuno al mondo che dubitasse dell’umanità del concepito applicando il principio di prudenza dovrebbe essere trattato come tale. E se è umano allora diventa soggetto di diritti inalienabili, primo fra tutti quello alla vita ed eventuali conflitti con diritti di altri vanno esaminati con equanimità e discernimento e non certo autogestiti dalla più forte delle due parti, ma a livello sociale e giuridico, soprattutto se ne nasce una legge.
Il diritto alla vita è il più alto dei valori al quale ciononostante in casi eccezionali e per il bene di molti ci sono uomini e donne rinunciano immolando la propria vita, ma mai la vita dell’altro soprattutto se debole, anzi il grado di civiltà si misura proprio con la capacità di difesa dei più deboli. Ciò detto ora e solo ora possiamo imboccare il bivio, fare la famosa scelta, ma con due annotazioni: caricare tutto sul soggetto che deve decidere ne accentua anche la solitudine; inoltre una scelta deve essere fatta tra alternative paragonabili, ma al momento, nell’attuazione pratica, solo la scelta dell’aborto è supportata dalla struttura pubblica con la fornitura di strumenti farmacologici o chirurgici, mentre la scelta della vita diventa esclusivo onere economico o sociale di chi la compie (“problemi tuoi”).
In altre parole anziché “difendere” una scelta presa sotto la pressione di condizioni di fragilità economica o sociale e condurla fino alle estreme conseguenze, sarebbe meglio aiutare la donna (o, se fortunata, la famiglia) a superare i condizionamenti e prendere una decisione quanto più possibile serena e accogliente. Ed a partire da questo ci si può ritrovare tutti al di là di ogni steccato ideologico.
Enrico Giordano